Quale futuro per i vini senza solfiti? Quale il ruolo dei consumatori? Argomenti al centro di un seminario che ha registrato tanti interventi degli esperti del settore enologico all’interno della quarta edizione dell’evento Rock the Wine. Lo scorso 21 giugno, infatti, diverse realtà – Fattoria Lavacchio, i vini di Salcheto (Montepulciano), Alepa (Campania), Tenuta Sant’Antonio (Veneto) e De Stefani (Veneto) – si sono confrontate sulle mode, sull’invecchiamento dei prodotti, sugli obiettivi futuri.
Tra gli interventi interessanti, quello dell’enologo della Fattoria Lavacchio, Stefano Di Blasi, e del dott. Giacomo Buscioni, Responsabile tecnico-scientifico del settore bevande fermentate di FoodMicroTeam – spinoff dell’Università di Firenze.
“Il nostro progetto – ha spiegato Faye Lottero che gestisce la Fattoria Lavacchio – è iniziato nel 2008 con uno studio svolto con l’enologo Stefano Di Blasi e FoodMicroTeam. Inizialmente abbiamo pensato a fare un vino senza aggiunta di solfiti per rispondere alle richieste dei consumatori allergici ma, visto lo stile del vino, è poi venuta più l’idea di produrre un vino fresco e molto profumato, dove spiccano i sentori di frutta ed in particolar modo il terroir“.
“Se un vino viene vinificato in maniera corretta – ha sottolineato l’enologo Di Blasi, soffermandosi sul ruolo dei solfiti nel vino – i solfiti non servono, anzi, ricordiamoci che la solforosa è un allergene e quindi anche per tutelare il consumatore, possiamo farne a meno. Forse, è giunto il momento di andare in quella direzione”.
Il dott. Giacomo Buscioni così ha concluso sull’argomento: “Questi vini hanno una diversa considerazione da parte dei consumatori, rispetto ai vini con solfiti, essi si rivolgono ad un pubblico più consapevole e con gusti diversi, talvolta tollerando anche qualche imperfezione stilistica. Il controllo microbiologico di questa tipologia di vini è di supporto all’enologo, il quale può operare in maniera più consapevole e mirata”.
Altri aspetti molto rilevanti al centro della scena: la scelta di utilizzare meno legno, sostituire le barrique con carati di dimensioni più grandi per i rossi e sostituire il rovere con acacia autoctona per i bianchi e da qualche anno anche l’utilizzo di farnia autoctona, proveniente dalla Foresta Modello della Montagna Fiorentina, lavorata da un bottaio locale.
Simona Merlo