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11 FEB

Analisi della Conversazione, nuovo strumento diagnostico?

Turno, sequenza, abitudini linguistiche sono alcuni degli argomenti al centro del nuovo approfondimento di Virginia Calabria – esperta di Linguistica interazionale e Analisi della conversazione, dottoranda in Linguistica all’università belga KU Leuven. Per chi non l’avesse ancora letto, ecco il primo articolo di Virginia sull’Analisi della Conversazione.

SECONDA PARTE. I vari tipi di turno ospitano diverse azioni che possono essere analizzati in modo molto complesso (dal linguista) e predette dall’ascoltatore (richieste, ordini, promesse, ecc.). Il significato di ogni azione (realizzata o tramite un solo turno o da una sequenza di più turni dello stesso parlante, o da turni di più parlanti) deriva dalla strutturazione della sequenza: un esempio noto nelle letteratura sull’argomento sono le cosiddette “sequenze triadiche” in classe, chiamate così perché composte tra tre turni, il primo in cui l’insegnate fa una domanda, il secondo in cui lo studente fornisce la risposta, il terzo in cui l’insegnante dà una valutazione o un giudizio su quanto risposto. Queste sequenze possono sembrare “rigide”, ma in verità la casistica è molto più flessibile.

Il senso di uno scambio comunicativo di questo tipo è dato proprio dalla posizione e progressione dei turni, intesi sia come luoghi in cui si verificano le azioni (valutazione, rifiuto, richiesta, ecc.), sia come luoghi in cui la riflessione metalinguistica (cioè la riflessione che spontaneamente un parlante fa a proposito di quello che sta dicendo, testimoniata da riformulazioni, estensioni di quanto detto, autocorrezioni) è costantemente messa alla prova. Lo studente che risponde alla domanda saprà già di essere (o di dover essere a breve) in questa“posizione” in vista di una valutazione successiva.

La metodologia è dispiegata attraverso 14 principi fondamentali che costituiscono le basi teoriche della disciplina, alla luce dei quali (in accordo o antitesi) le conversazioni vengono poi “lette”:
1) Il passaggio da un parlante a un altro è ricorrente o avviene almeno una volta: presupposto di base di ogni inter-azione.
2) Si parla uno alla volta, secondo il principio one-speaker-at-a-time.
3) Le occasioni in cui più parlanti prendono il turno insieme sono comuni ma brevi: corollario del secondo principio.
4) I passaggi (da un turno al successivo) senza pause o sovrapposizioni sono comuni. La maggior parte delle transizioni sono costituite da un breve silenzio o pausa.
5) L’ordine dei turni non è fisso, ma variabile.
6) La dimensione dei turni non è fissa, ma variabile.
7) La lunghezza della conversazione non è specificata in anticipo.
8) Ciò che diranno i partecipanti non è specificato in anticipo.
9) La distribuzione relativa dei turni non è specificata in anticipo.
10) Il numero dei partecipanti può variare (ma può anche essere prestabilito).
11) La conversazione può essere continua o discontinua.
12) Per l’allocazione di turno esistono delle tecniche specifiche.
13) Vengono impiegate differenti «unità di costruzione» del turno.
14) Strategie di riparazione (repair) vengono attuate per trattare con errori. Va detto che dalla fondazione della disciplina questi principi sono stati rimaneggiati e persino superati, ma soprattutto raffinati nel corso degli anni.

Facciamo un passo avanti adesso rispetto alla teoria e agli strumenti. Nelle abitudini linguistiche di ciascun parlante risiede il suo idioletto – definito in linguistica come il modo di parlare personale e peculiare di ciascun individuo – formato da tutte le variabili linguistiche e sociolinguistiche (la sua autobiografia linguistica) che costituiscono la sua identità di parlante. Per intrattenere scambi comunicativi, fare conversazioni, questa identità (che è un’identità sociale e culturale) – come pure altri tratti quali il genere, l’etnia, lo status, il ruolo lavorativo, il potere sociale, ecc. – deve essere negoziata e in parte condivisa con quella degli altri parlanti.
La base dell’interazione è, infatti, la creazione di quella che Heritage ha chiamato intersubjectivity, intersoggettività: la conversazione è un’attività che si svolge tra più parti che dimostrano, attraverso la coerenza delle loro azioni linguistiche, l’interconnessione e la “significanza” di ciò che si dicono. 

L’adiacenza (il parlare uno dietro l’altro o insieme) permette di mostrare e rivendicare che i partecipanti sono impegnati in un’attività significativa, non casuale, e che la loro attività ha luogo in un quadro formale di intelligibilità. Le condizioni di questo accordo silente, stipulato tra gli aderenti alla conversazione, sono dettate dalle conoscenze e dalle competenze condivise dagli interlocutori. Grazie alla loro occorrenza non causale, le frasi possono essere interpretate, poiché confermano le aspettative che i parlanti hanno sviluppato in base al contesto in cui la conversazione sta avvenendo. Dotata di un vasto inventario di strumenti, l’AC fornisce, allora, il perfetto quadro teorico entro cui inserire uno studio approfondito dei meccanismi di partecipazione e adesione allo scambio comunicativo; addirittura secondo il linguista Fele (2007): «tutte le forme purché non scritte di comportamento e di discorso tra le persone possono essere studiate dall’Analisi della Conversazione».

Dopo aver visto cos’è l’AC, quando e dove nasce, di cosa si occupa e con che strumenti e alcune delle riflessioni a cui porta, sembra opportuno concludere con un quesito che sempre Fele si è posto – e chi scrive con lui: l’AC è “soltanto” una disciplina teorica che si «limita» a descrivere le pratiche del conversare, oppure è uno strumento che può essere usato al fine di intervenire sulle pratiche stesse? È, cioè, possibile ricavare da essa una serie di osservazioni e di raccomandazioni su come poter intervenire nel mondo sociale per cambiarlo? Per dirla con le parole dello studioso: «Da una fase descrittiva e analitica si può passare ad una fase critica dell’esistente. Ma è possibile passare ad una fase propositiva?» (Fele, 2007)

Una speranza condivisa da buona parte dei ricercatori è quella di occuparsi di un argomento che non solo implementi le conoscenze della disciplina e del mondo accademico, ma che sia anche una chiave di lettura della realtà che renda consapevoli i fruitori e sviluppi nuove idee e riflessioni. Se fosse il caso, l’AC potrebbe allora essere uno strumento diagnostico prezioso per molti contesti comunicativi – liti domestiche, conversazioni paziente-dottore, genitori-figli, professori-studenti, ecc. – potenzialmente “problematici” e che ricoprono un ruolo centrale nella vita quotidiana di tutti.

Virginia Calabria

 

Categorie: Melting Pot / di Simona Merlo 11 Febbraio 2019

Autore dell'articolo: Simona Merlo

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